Nel secondo incontro, tenutosi a Penna S. Andrea (TE) il 17 maggio 2012, Filippo Lanci ha concentrato l’intervento sull’esperienza vissuta nei paesi dei comuni di Pietracamela e Fano Adriano, ricostruendo le fasi del suo inserimento, delle perplessità iniziali e delle intuizioni che hanno lentamente condotto alla costituzione del CDS (Centro Documentazione e Studi sulla Vita e la Cultura della Montagna Teramana) di Intermesoli e alla collaborazione con l’antropologo Spitilli nella realizzazione del primo progetto Archivio della memoria; così pure ha focalizzato i rischi e gli esiti negativi del lavoro svolto. Sostanzialmente si è voluto evidenziare come la ricerca condotta e quella in cantiere siano interessate al recupero del patrimonio della memoria e dell’identità delle comunità della nostra montagna, rimuovendo le elaborazioni folkloristiche, ma piuttosto lasciando emergere l’aspetto vitale e dinamico della tradizione e il suo elemento significativo per la cultura contemporanea.

La finalità dell’intervento è stata quella di contestualizzare il lavoro di ricerca all’interno della necessaria condivisione della vita di una comunità e nella prospettiva del suo riversamento dentro la stessa.

Gianfranco Spitilli ha affrontato preliminarmente un binomio che ritorna nelle sue ricerche: l’alleanza fra parroci e studiosi. Questa relazione è una chiave di accesso estremamente interessante da approfondire per analizzare le complessità di rapporti fra la Chiesa, l’universo degli intellettuali, le comunità e gli individui, l’ambito politico, sia comunale/provinciale/regionale che nazionale. Tutti questi elementi, interrelati, sono stati a tutti gli effetti i produttori di quelle culture che in modo improprio si definiscono semplicemente “locali”. Alcune esperienze circoscritte sono da anni oggetto di ricerca, come quella del parroco-etnografo Don Nicola Jobbi, che negli anni ’60-80 del Novecento ha dato vita ad una straordinaria e molto articolata opera di documentazione e “rivitalizzazione” dell’universo sociale e culturale della montagna teramana, in particolare dell’area dell’Alta Valle del Vomano e della comunità di Cerqueto di Fano Adriano. L’immenso Archivio prodotto da queste attività è oggi al centro di un ampio progetto di recupero denominato “Culture Immateriali” che prevede la digitalizzazione di tutti i documenti, una loro “ricircolazione” presso le comunità di riferimento, uno studio dettagliato dei contenuti non solo da un punto di vista formale ma soprattutto per analizzarne le modalità di produzione, le concezioni che traspaiono dagli stessi documenti, e che oggi sono il vero e proprio patrimonio - inteso nel suo significato letterale di eredità più che di bene – a rischio di svuotamento, sparizione, annullamento. Da questo viene la necessità di avviare un percorso consapevole, che non si limiti alla considerazione dell’oggetto patrimoniale (che sia un documento visivo, sonoro, o materiale) per un generico fine divulgativo e promozionale, ma che sia innanzitutto la chiave per un più denso processo di autoconsapevolezza delle stesse comunità, che oggi appare quanto mai necessario perché se ne possano tracciare delle linee future creative e non distruttrici, o banalmente incentrate sulla svendita e quindi la distruzione di quelle stesse eredità che si dichiara di voler richiamare e difendere.

Nella relazione è stata accennata la complessità delle dinamiche che si devono affrontare per avviare questo percorso, spesso conflittuali, con le varie forme del potere locale e le ormai calcificate concezioni che ogni comunità in difficoltà ha di sé stessa, per la perdita dei valori di riferimento, per lo spopolamento, per la diffusione di una cultura televisiva di massa che sovverte e stravolge la percezione della propria identità, termine quest’ultimo usato sempre più spesso per richiamare concetti quanto mai vaghi, a tratti razzistici e autocelebrativi, imbevuti di retorica localistica.

Alcuni esempi sonori hanno sostenuto questo tipo di analisi, e raccontato come il “vicino” e il “prossimo”, che si dichiara di conoscere per virtù di appartenenza, è spesso in realtà ignorato o avvicinato superficialmente: come l’esempio di Basilio D’Amico, straordinario suonatore, a “portata di mano”, di cui pochissimi in realtà si sono interessati, ribadendo la necessità di una vera e propria educazione all’ascolto, e il riconoscimento di un significativo apporto che le discipline antropologiche ed etnomusicologiche possono dare alla crescita di questo processo di osservazione attenta, anche in sostegno alle istituzioni locali.

Si sono toccati anche aspetti legislativi, sottolineando la carenza di strumenti normativi regionali, provinciali, dei parchi e delle riserve, ma anche comunali, che possano dare una base concreta alla necessità di attività qualificate. Si ritiene che i comuni possano giocare un ruolo decisivo, decidendo di dotarsi di regolamenti e di politiche per la realizzazione di progetti a lungo termine, anche legati alla valorizzazione di strutture, nel campo del patrimonio antropologico, etnomusicologico, linguistico e in genere del patrimonio culturale immateriale, richiamando esperienze di successo ormai consolidate in altre regioni: Sardegna, Lombardia, Lazio, Emilia Romagna.

La creazione di una rete di Archivi Etnografici del Gran Sasso che coinvolga anche i territori del Medio Vomano, avvalendosi di tali competenze e del sostegno istituzionale innanzitutto locale, potrebbe essere una chiave per avviare un percorso diverso e solido, in un momento di grande difficoltà nel quale forse è proprio la cultura a poter essere un motore carico di significati per rilanciare la vita di queste comunità periferiche.